Al millesimo giorno di quarantena la mente inizia a vacillare, i pensieri vagano senza sosta, almeno loro possono uscire dagli schemi. La storia di oggi parla del mare. Non si tratta di una vera e propria storia, ma di pensieri nati l’ennesima mattinata uguale osservando dalla finestra lo stesso scenario di sempre. Lasciatevi trasportare anche voi dai pensieri dopo aver letto questa storia. Pensate a cose su cui non riuscite mai a focalizzarvi durante le giornate normali, sempre piene di cose da fare. Questo è il momento giusto per ricordarvi di episodi che avete chiuso a chiave nel vostro cuore nella scatola “da aprire un casi di emergenza”.

Il mare e la libertà
È in giorni come questi che la mancanza del mare si fa ancor più viva nel mio cuore. Ad esserci però c’è sempre, spesso nascosta in un sorriso o in una ruga d’espressione. Del resto si sa che quelle vengono per il sole, e io non ho mai avuto paura di espormi ai suoi caldi e roventi raggi. Non sono una di quelle che riesce a stare su una sedia a sdraio per tutta la giornata a leggere o a perfezionare l’abbronzatura, ma sono una che il sole lo vive con l’avventura. Iperattiva anche l’estate, passo la giornata a far diventare i miei polpastrelli squamosi e a muovermi al ritmo delle onde. È in momenti così che riaffiorano nella mia mente ricordi di veleggiate con mio padre, quando l’unica cosa che ci distanziava dall’acqua erano due scafi uniti alla buona. Il catamarano è la cosa che forse mio padre ha amato di più nella sua vita oltre me, entrambi siamo suoi frutti anche se in maniera diversa. Da quando ha deciso di venderlo per una barca più grande non è più lo stesso, lo so io e lo sa anche lui. Nonostante faccia finta di essere felice con Batalú, io lo so che non fa altro che pensare al piccolo catamarano a remi e alle domeniche d’inverno passate in spiaggia a rimediare ai guai che il mare aveva fatto. Ricordo benissimo quando al tramonto io e mio padre navigavamo verso l’infinito con quei due piccoli scafi e un po’ di incoscienza. Alcuni dei momenti più belli della mia vita sono riconducibili a quelle veleggiate, a quando era il mare a decidere la tua direzione a seconda del movimento delle onde.
Ciao Benedetta sono felice che ricordi questi giorni e il come li ricordi è ancora più bello perchè ne hai compreso il senso, il senso di libertà e di sogno che il mare e la natura sa trasmettere se la viviamo nel modo giusto cogliendone le cose semplice e con un pizzico di avventura. Infatti dopo aver montato un motore al mio piccolo poetico catamarano polinesiano, per andare più lontano o muoversi senza vento nelle famose bonacce del sud tirreno, mi sono accorto che seguivamo gli spostamenti della folla di vacanzieri e inoltre voi bambini vi annoiavate quindi quando mi rubarono il motore lo sostituii con i remi. Dovevo andare dove voleva il vento prevedere i suoi cambiamenti per tornare e con te bambina quante volte abbiamo fatto tardi con il vento forte arrivavano secchiate d’acqua da ridere e poi con il sole forte in mancanza di vento ci trovavamo le orecchie piene di sale e remando quanti tanti bagni al largo per rinfrescarci o con secchiate d’acqua oppure spingendo la barca a nuoto a volte semplicemente ti intrattenevo perchè sapevo che stava montando la brezza che ci avrebbe riportato a riva. Io con le mie escursioni simili a sedute sportive ricercavo qualcosa, vuoi sui monti in bici a nuoto o in apnea, bò, ma che cosa mi attirava a sfinirmi cosi tanto?? un giorno lessi del Giornalista avventuroso Walter Bonatti e mi accorsi che avevo sbagliato lavoro e che si poteva fare nella vita qualcosa che ti emoziona ma per me era tardi però nel mio piccolo potevo ancora trovare nel tempo libero “lo stato di grazia” ed era quello che ricercavo nelle mie uscite solitarie ma non sapevo dargli un nome e posso dire che con quel trabiccolo con te e Roberta facendo cazzate che non potevamo raccontare ai familiari altrimenti mi toglievano la patria podestà ho trovato il mio “stato di grazia” molte volte. Un bacione da Papi!