Written by 16:14 Decamerone di Hai sentito che musica

Un’infermiera di notte e la lotta per la vita

Tempo di Lettura: 4 minuti Cosa succede quando un’infermiera di notte incontra una bambina di 8 anni e la sua bambola in piena emergenza virus? Leggete qui per scoprirlo!

Infermiera di notte. credit by: clipartbest.com

Fare l’infermiera di notte mi sembrava un ottimo modo per iniziare. Mi sono laureata qualche mese fa in scienze infermieristiche, ed ero stata presa quasi subito per fare un tirocinio retribuito all’ospedale Niguarda di Milano. Era un ruolo semplice, non impegnativo. Perfetto per iniziare.

Fino al giorno in cui scoppiò la pandemia. Da li cambiò tutto.

All’inizio sembravano pochi casi. Si Milano era stata chiusa, ma onestamente nessuno dava troppo preso ad un provvedimento che suonava esagerato. Infondo i casi di Coronavirus erano stati solo 180, bloccare una città per questo motivo sembrava davvero assurdo. E poi c’era la fashion week, un gran trambusto per tutti ma uno dei periodi più divertenti anche per me che sono un’infermiera, per la precisione un’infermiera di notte.

Precipitò tutto in due settimane, due settimane in cui la nostra vita si trasformò in un inferno. Avete presente quei film Americani con il protagonista che deve salvare l’umanità da una minaccia terribile? La realtà in cui vivevo era anche peggio, solo che gli eroi eravamo noi, ma non avevamo le armi per combattere.

Nel giro di 24 ore passai da tirocinante-infermiera di notte a personale formato e mi dissero che avrei dovuto dare tutto il mio supporto per arginare il virus e aiutare i pazienti. Mi dissero anche che il rischio di contagio per noi era elevato, ma che avrebbero fatto di tutto per salvaguardarci. Mi chiesi come sarebbe stato possibile, ma non mi diedi risposta. La verità era che non era assolutamente possibile.

Da infermiera di notte passai ad essere infermiera di pomeriggio – sera fino al mattino. I turni erano di 12 ore se andava bene, altre volte anche più lunghi. Mi facevano male le braccia, le gambe spesso non mi reggevano più.

Ero esausta. Tutti a chiamarci “i nuovi eroi”, ma io non volevo questo. Non lo avevo mai chiesto. Ero una tirocinante in infermieristica lontana da casa che si ritrovava per puro caso in una storia più grande di lei. Non capivo perchè stesse succedendo proprio a me.

Ogni giorno era sempre peggio, i malati aumentavano, i morti anche. L’Italia era sotto scacco di un virus maledetto che bloccava il respiro così come le vite degli italiani sospesi in una quarantena che creava solitudine, ansie e instabilità. All’ennesima persona in terapia intensiva quella sera mi chiusi nello stanzino e piansi. Ero arrivata al limite. Dovevo scappare e dovevo farlo alla fine di quel turno. Mi dispiaceva per quello che stava accadendo, ma non era compito mio salvare tutti. Volevo tornare da mia madre, da mio padre e da tutti coloro che in questo momento mi mancavano terribilmente. Era deciso dovevo andare via.

Uscita dallo stanzino mi sentivo finalmente una nuova linfa vitale, avevo la prospettiva di andarmene di li a poche ore e scappare da quel posto disgraziato. Ero quasi felice.

Andai dalla mia nuova paziente Lulù pensando che sarebbe stato il mio ultimo caso della giornata. Aveva 8 anni ed era stata contagiata anche lei.

“Ciao, puoi controllare che anche Mimì stia bene? Lei è più piccola di me, ha bisogno di aiuto” Così mi accolse nel suo mondo Lulù.

Sospirai, ero esasperata anche da situazioni di questo tipo: “scusami cara, ma la tua bambola Mimì non è nella mie priorità questa sera!” me ne stavo per andare quando lei mi riprese: “Fai male, se Mimì sta male sto male anche io e se io sto male potrei morire e se io muoio tu vai in prigione dove il mio spirito ti perseguiterà e non potrai più vedere il tuo fidanzato”. Mi scappò un sorriso. “Non ho il fidanzato!” “Vedi? Perchè non hai visitato Mimì, se lo avessi fatto tutti si sarebbero innamorati di te!”. La ragazzina sapeva il fatto suo.

Visitai velocemente Mimì ed emisi la mia diagnosi: “SANA AL 100%”. Lulù sembrò davvero sollevata: “Meno male, vuol dire che la nonna sta bene.” In un minuto mi si gelò il sangue nelle vene: “Che intendi per nonna sta bene?”. Lulù con un’area da maestra iniziò a parlare “ieri sono stata tutto il giorno con la nonna, ma io stavo bene. Se fosse stata male Mimì poteva aver infettato la nonna, ma fortunatamente non è così.” Le risposi subito se la nonna viveva con loro e Lulù mi rispose di no che viveva sola al piano superiore e che lei l’andava a trovare ogni tanto. Corsi immediatamente dal mio responsabile, non c’era tempo da perdere.

Lulù fortunatamente non aveva gravi problemi respiratori, se la sarebbe cavata con poco. La nonna mi preoccupava. Ero sempre dell’idea che sarei partita la mattina seguente, ma infondo un ultimo caso cosa poteva cambiare? Parlai con il mio responsabile che concordò con me per la gravità della situazione e andammo a parlare immediatamente con i genitori di Lulù. La nostra teoria era molto semplice: se Lulù era infetta e aveva passato del tempo con la nonna, le probabilità che anche lei stesse male erano molto alte. I genitori di Lulù Iniziarono a chiamare la nonna in modo insistente, ma nessuno rispose. Poteva dormire vista l’ora tarda ma a nessuno convinceva questa teoria. Bisognava controllare.

Non so perchè ma mi sembrava la cosa più logica andare con loro a controllare che tutto fosse ok, prendemmo la macchina e ci avviammo. Eravamo tesi e fu un viaggio molto lungo. Arrivati a casa della nonna, non rispose neanche al campanello, aprirono loro la porta con il doppione delle chiavi. La trovammo sul divano quasi esanime con forti problemi respiratori. Era accaduto il peggio.

Quello che successe di li a poco durò delle ore e allo stesso tempo fu un istante. In ospedale il tampone confermò la diagnosi e venne immediatamente intubata e portata in terapia intensiva. Ora bisognava solo sperare. Erano le 8 di mattina e il mio turno era finito.

Quando tutto questo finì Lulù e la sua nonna mi vennero a trovare, avevo salvato entrambe e ogni tanto mi portavano dei dolcetti da sgranocchiare durante il mio turno, ero pur sempre un’infermiera di notte e ora che le cose erano più o meno tornate alla normalità avevo tempo per un spuntino notturno. Lulù mi diceva sempre che da grande voleva essere come me, la nonna la coccolava come se quella nipote fosse il bene più prezioso che aveva, e io ero riuscita a regalare loro del tempo da trascorrere insieme. Infondo essere un eroe non era poi così male.

Non lo dissi mai, ma fu lei e la sua bambolina Mimì a salvare me, Salvarmi da me stessa e dalla condizione di non sopportare tutto quello. Ma a questo serve la comunità: a proteggere gli altri e a sostenerli nel momento del bisogno. E io ne avevo avuto bisogno. Da quel giorno non fu sempre una passeggiata ma mi resi conto che il mio posto era lì e che l’unico modo che avevo per amare la mia famiglia era contribuire alla salute delle persone.

Mangiai un boccone al volo prima di uscire per iniziare il mio turno, il profumo di Milano libera mi inebriava sempre. Avevamo vinto noi.

Avete letto la nostra ultima storia? Qui il link

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Ultima modifica: 24 Marzo 2020
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