Le voci si rincorrono: il governo sta valutando limiti agli affitti brevi nelle aree più pregiate delle città. Non è ancora legge, ma il dibattito è già acceso. Il punto è noto: turisti ovunque, canoni in salita, residenti in fuga. È davvero solo colpa degli host? Domanda scomoda, risposta sfumata. Eppure qualcosa si muove, perché la pressione sui quartieri storici è reale e la pazienza delle amministrazioni si assottiglia.
Perché ora
Negli ultimi anni la domanda di soggiorni mordi-e-fuggi è esplosa, mentre l’offerta di case in locazione lungo periodo si è assottigliata. In molte vie del centro gli appartamenti “vivi” sono pochi, i negozi utili ancora meno, e i servizi si adattano al turista. “Non vogliamo una cartolina senza abitanti”, ha detto un assessore romano, “ma strade in cui sia possibile restare”.
Gli economisti avvertono: il fenomeno non è monocausale. Incidono anche stipendi fermi, tassi di interesse, politiche abitative. Tuttavia, le piattaforme hanno reso più liquido il mercato e quindi più rapido lo spostamento delle case verso l’uso turistico.
Cosa potrebbe cambiare
La bozza più discussa prevede un insieme di paletti mirati nelle aree a forte attrattività:
- Periodo minimo di soggiorno di due notti in alcune zone storiche, codice identificativo unico per ogni alloggio, controlli più stringenti, sanzioni più pesanti per chi viola le regole.
Altre ipotesi: quote per quartiere, limiti alle nuove licenze nelle aree UNESCO, corsie preferenziali per chi affitta a studenti o lavoratori a medio termine. “Gli affitti brevi non sono il male,” spiega un sindaco toscano, “ma vanno governati con equilibrio”.
Le città si muovono
Alcuni Comuni hanno già testato stretti correttivi. Firenze ha provato a bloccare nuove aperture nell’area UNESCO; Venezia applica il contributo di accesso nei giorni di maggior afflusso; Milano ragiona su cap e mappature. Ogni territorio cerca la propria soglia, bilanciando entrate da turismo e diritto alla casa. Non esiste una bacchetta magica; esiste la necessità di dati e monitoraggio costanti.
Italia ed estero a confronto
Di seguito un quadro sintetico di come altre città hanno agito. L’obiettivo non è imitare, ma capire cosa ha funzionato (o no).
| Città/Paese | Misura principale | Limiti notti | Zone interessate | Sanzioni | Registro/Codice |
|---|---|---|---|---|---|
| Parigi | Tetto annuo per prime case | 120/anno | Città intera | Alte | Sì |
| Amsterdam | Affitti occasionali con permesso | 30/anno | Città intera + aree sensibili | Alte | Sì |
| Barcellona | Stretta su licenze turistiche | Licenze in esaurimento | Città intera, focus centro | Alte | Sì |
| New York | Registrazione obbligatoria, co‑presenza host | Di fatto molto restrittivo | Città intera | Molto alte | Sì |
| Roma/Firenze (ipotesi) | Soggiorno minimo, limiti nuove aperture | 2 notti (in valutazione) | Centri storici/UNESCO | Da definire | Sì |
“Le regole non devono spegnere la vita urbana,” osserva un albergatore veneziano, “ma impedire che diventi un parco tematico”.
Impatti attesi
Per gli host, regole chiare significano meno incertezza ma margini probabilmente più stretti nelle aree calde. Per i residenti, l’effetto sperato è un raffreddamento dei canoni e un ritorno di servizi di prossimità. Per i Comuni, più leve di gestione e un canale fiscale più ordinato grazie ai registri.
Gli economisti ricordano che i risultati dipendono dall’applicazione concreta: serve vigilanza, interoperabilità dei dati, sanzioni effettive e non solo sulla carta. L’esperienza di altre città insegna che senza enforcement le norme restano ornamentali.
Argomenti in campo
I favorevoli parlano di “diritto alla città”, di equilibrio tra visitatori e residenti. Sostengono che i centri storici sono un bene collettivo e che la rendita va calibrata. I contrari avvertono del rischio di soffocare l’innovazione, penalizzare chi affitta in modo responsabile, spingere l’offerta nell’ombra. Entrambi hanno ragioni: la questione è nel grado e nella precisione della risposta.
Tre nodi decisivi
Primo: il perimetro. Serve una definizione chirurgica delle zone, evitando misure a “grande pennello”. Secondo: la durata. Un limite minimo di notti riduce i soggiorni mordi-e-fuggi, ma rischia di colpire viaggiatori business e familiari. Terzo: le alternative. Senza politiche per l’affitto medio termine, studentati, e alloggi convenzionati, la pressione si sposta altrove.
Che cosa guardare nei prossimi mesi
Il testo definitivo dirà se prevarrà la linea dei vincoli mirati o una regolazione più leggera con focus su registri, controlli e fisco. “Meglio poche regole, ma chiare” sintetizza un urbanista, “e soprattutto applicate”. Airbnb e le altre piattaforme spingono per strumenti di co-regolazione, come filtri di conformità e scambio dati con i Comuni.
In gioco c’è la forma delle nostre città nei prossimi dieci anni: quartieri vivi, con mix di funzioni, oppure centri monoculturali del turismo. La strada si traccia ora, tra esperimenti, correzioni e una verità semplice: senza una visione dell’abitare, ogni regola nasce già a metà.
“Non si tratta di essere pro o contro,” dice una residente del centro, “ma di ritrovare un patto tra chi viene per un giorno e chi resta per una vita.”
