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Claudio Baglioni ha scritto “un film in costume sulla parabola dell’amore”

Tempo di Lettura: 3 minuti Claudio Baglioni e il suo nuovo album sono i protagonisti del nuovo appuntamento con Il Taccuino di Francesca a cura di Francesca Binfarè.

Claudio Baglioni- Credit by_ Alessandro Dodici

Claudio Baglioni è tornato. Sette anni di distanza dal disco precedente, un lasso di tempo lunghissimo per i tempi attuali della musica. Ma Claudio Baglioni, come altri grandi nomi del panorama italiano, può permettersi di prendersi i suoi tempi: torna, e dall’ultima nota che ha pubblicato è come se non fosse passato un minuto. La stessa cosa, per fare un esempio recente, accade con Renato Zero.

Claudio Baglioni e il suo racconto del nuovo album

Cinquant’anni di carriera, nuovo album intitolato “In questa storia che è la mia” (che esce oggi, tra parentesi): “Il tempo è l’avversario micidiale di ogni essere vivente. Vincerà sempre lui, siamo sempre a corrergli dietro o al massimo ogni tanto riusciamo ad affiancarlo. Il vantaggio di fare un mestiere come il mio è pensare che ci sarà qualcosa, una memoria, una canzone, un album, diverse scene da un concerto che resteranno anche dopo, anche quando la nostra voce tacerà. Canto “Ho vissuto per lasciare un segno” ma credo che questa sia la missione, il cammino di chiunque venga al mondo”: questa è proprio la frase – potente – che apre l’album.

Claudio Baglioni- Credit by_ Alessandro Dodici

Claudio Baglioni- Credit by_ Alessandro Dodici

Il segno, dunque. Che segno lascia Baglioni? “Ho iniziato nel 1964 a fare quello che faccio tutt’ora. Non mi posso lamentare del viaggio fatto fino ad adesso. Lasciare un segno è stato il motivo conduttore di questo lavoro, sono stato ossessionato quasi dal verbo incidere. Un tempo si diceva incidere un disco: il solco era quello dei dischi, ed era quasi mitico; sono partito da questo pensiero, poi ho pensato a incidere nel senso di lasciare un segno nella sfera emotiva e mentale di chi ha la voglia e la bontà di ascoltare questo album”.

Non ci si stacca dall’idea di tempo, e ci si chiede, si chiede a Baglioni come si canta l’amore oggi, nel 2020: “Parlo dell’avventura e della disavventura del vivere, e una parte preponderante in questo viaggio ce l’ha l’amore. L’ho sempre narrato nei miei dischi. L’amore ha sempre qualcosa da raccontarci, è la materia, è il primo, il secondo piatto e anche il contorno delle nostre vite. Tolti il primo e l’ultimo brano del disco che danno una visione allargata della scena (“Altrove e qui” e “Uomo di varie età”), con il grandangolo direi, per il resto ho pescato con il teleobiettivo tanti momenti della parabola amorosa: questo disco è un concept su questo sentimento, oltre che un invito a rileggere la nostra storia. L’amore è forse l’argomento che mi ha sempre interessato di più nella vita e forse quello che ho conosciuto di meno. Questo è un album che non parla assolutamente del momento che stiamo vivendo”: eccolo qua di nuovo il tempo, inteso come contemporaneità.

Infine, c’è il tempo come passato, che definisce altri aspetti dell’identità di questo nuovo lavoro di Baglioni: “Questo disco è come un film in costume, perché i suoni sono prodotti da strumenti, polpastrelli di uomini e donne, cuori, talenti, messi lì insieme a suonare. Così abbiamo lavorato, tranne che per l’ultima parte in cui abbiamo dovuto fare da remoto, come tutti. C’è anche un uso di sonorità digitali, prodotte dalle macchine: però questi sono suoni nuovi, non imitano quelli degli strumenti. Resta quindi intatto il fatto che “In questa storia che è la mia” è un album tutto suonato, come si faceva 40 o 50 anni fa”.

 

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Ultima modifica: 4 Dicembre 2020
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