Vieira da Silva: Spazi nel tempo

Nel giro di cinque decenni, dagli anni Trenta agli Ottanta, ha esplorato in modo radicale le molteplici modalità di rappresentare lo spazio: tramite labirinti, tramite ritmi generati dal colore o tramite prospettive frammentate. Partendo anche da scenari immaginari o reali e indagandone i legami con il tempo e la memoria.

Sotto la curatela di Flavia Frigeri e dopo la permanenza, fino allo scorso settembre, alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, il Guggenheim di Bilbao propone “Anatomy of Space”, un’antologia che, articolata in otto capitoli, traccia l’evoluzione del linguaggio di Helena Vieira da Silva, nata a Lisbona e stabilitasi a Parigi. Si concentra in particolare su come nel suo lavoro si dissolva il confine tra paesaggi urbani concreti e quelli interamente ideati e su come i suoi approcci all’architettura nascano da percorsi personali, oltre che dai riferimenti al cubismo o al futurismo e dalla tradizione della cultura visiva del suo Paese.

La sua opera trae ispirazione dalla sua prima formazione in anatomia e in scultura, e dall’attenta osservazione della pittura di Cézanne e delle avanguardie del XX secolo; ma nel tentativo di fondere lo spazio di cui sopra con la memoria e il tempo, saprà utilizzare codici particolari che le permetteranno di annullare le distanze tra figure e sfondi.

Non è un caso che siano stati proprio i centri Guggenheim a far conoscere la propria produzione a un vasto pubblico: Vieira da Silva è stata una delle artiste che Peggy Guggenheim incluse nella mostra “31 Mujeres”, allestita nella sua sala newyorkese Art of This Century nel 1943 (come ricordava qualche mese fa la Fundación MAPFRE); e Hilla Rebay, prima direttrice del Museum of Non Objective Painting, predecessore del Museo Solomon R. Guggenheim, ne facilitò l’acquisizione già nel 1937 della Composizione (1936), ancora nelle collezioni del museo americano.

“Anatomia dello Spazio” inizia dall’inizio: all’età di vent’anni, l’autrice si trasferisce a Parigi per iniziare i suoi studi artistici presso l’Académie de la Grande Chaumière. Lì incontrò l’uomo che diventerebbe suo marito, l’ungherese Árpád Szenes; ed entrambi sono stati fotografati in diverse occasioni. Come vedremo al Guggenheim, lei lo ritraeva usando i suoi strumenti di lavoro.

A poco a poco, il suo laboratorio personale divenne, per Vieira da Silva, non solo un luogo di creazione, ma anche un luogo in cui riflettere sugli spazi architettonici e sulle loro strutture, ai quali diede un carattere quasi anatomico. Il dipinto entrato nelle collezioni di Rebay è molto rappresentativo di quel momento, così come altre composizioni dello stesso anno in cui compaiono forme scheletriche.

María Helena Vieira da Silva. Gioco di carte da gioco, 2937. Collezione privata, Francia-Portogallo
María Helena Vieira da Silva. Composizione, gennaio 1936. Museo Solomon R. Guggenheim, New York

Insieme agli spazi, altri temi ricorrenti erano la danza e gli scacchi, questi ultimi come metafora della vita, come gioco di azione e reazione. L’artista comincia a consolidare in queste creazioni, degli anni Trenta e Quaranta, un linguaggio astratto in cui il figurativo è a volte nascosto e rivelato e minuziosi quadrati si giustappongono, evocando lontanamente le piastrelle portoghesi.

María Helena Vieira da Silva. Figura di balletto, 1948. Per gentile concessione della Galerie Jeanne Bucher Jaeger, Parigi-Lisbona

La Seconda Guerra Mondiale rappresenterà per Vieira una svolta amara, sia nella sua vita che nella sua pittura. Dovette andare in esilio in Brasile e, ad eccezione di alcune scene di carnevale che evocano gioia evidente, la maggior parte delle sue opere di questo periodo suggeriscono la tragedia e l’oscurità di quegli anni.

Ritornerà a Parigi nel 1947 e, anche se sembra che sia rimasta colpita dallo stato in cui era lasciata la città, celebra la sua liberazione in spettacoli come Festa nazionale O Feste a Parigi dal 1949 al 1950. Riprende poi lo studio degli spazi e delle architetture, adottando talvolta i motivi a scacchi che aveva già utilizzato con le sue ballerine e arlecchini, per poi ampliare l’arco e occuparsi della città come oggetto visivo.

È allora che Vieira da Silva conferma che la rappresentazione di un luogo implica la cattura delle sue atmosfere, sebbene quella dei suoi contesti urbani sia piuttosto generica, comune, come si vede in Parigi, la notte (1951), Festa Veneziana (1949), La città tentacolare (1954) o Personaggi in strada (1948).

Interni ed esterni si susseguono poi sulle sue tele: cantieri, stazioni ferroviarie e chiese, a volte in via di costruzione e altre volte proiettate nell’infinito. Come verso l’infinito, il bianco delle composizioni che culminano nella mostra, corrispondenti a vari periodi, tendono all’infinito: alludono a diverse fasi del suo percorso verso l’astrazione, nelle quali forse non si era completamente immerso.

María Helena Vieira da Silva. Il corridoio o Interno, 1948. Collezione privata
María Helena Vieira da Silva. Passaggio degli specchi, 1981. Museo delle Belle Arti di Bilbao

“Maria Helena Vieira da Silva. Anatomia dello spazio”

MUSEO GUGGENHEIM BILBAO

Viale Abandoibarra, 2

Bilbao

Dal 16 ottobre 2025 al 22 febbraio 2026

Terzo Matni

Terzo Matni

Mi chiamo Terzo, fondatore di Hai sentito che musica e appassionato di cultura in tutte le sue forme. Da sempre esploro con curiosità suoni, immagini e storie che fanno vibrare l’Italia contemporanea. Nei miei articoli racconto ciò che mi emoziona, mi sorprende e alimenta la mia voglia di condividere la scena culturale italiana.

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