Gerhard Richter: Sessant’anni tra Distorsione e Poesia

La Fondation Louis Vuitton, celebre per le sue monografiche audaci dedicate a figure chiave del XX e XXI secolo — tra i nomi più recenti nella sua programmazione figurano Basquiat, Joan Mitchell, Mark Rothko e David Hockney — ora riserva tutte le sue sale a Gerhard Richter, il grande maestro tedesco che, pur avvicinandosi ai novantanovi anni e ancora attivo, ha persino osato mettere in discussione Adorno sostenendo che, anche dopo Auschwitz, esiste una poesia.

Presente dalle prime acquisizioni della fondazione sin dalla sua inaugurazione nel 2014, Richter è il protagonista di questa straordinaria retrospettiva autunnale, che riunisce quasi trecento opere realizzate dagli anni Sessanta all’ultimo anno scorso, tra dipinti a olio, sculture di vetro e acciaio, disegni a matita e inchiostro, acquerelli e fotografie alterate. Fino ad ora non gli era stata dedicata una mostra di questa portata.

Potrebbe essere, originario di Dresda, il più significativo tra i suoi coetanei che decisero di mettere al centro della ricerca linguaggio pittorico, concependo questa disciplina come un campo di sperimentazione in continua espansione, al di là delle categorie. La sua formazione iniziale presso l’Accademia di Belle Arti della sua città lo spinse a sviluppare presto i generi tradizionali della natura morta, del ritratto, del paesaggio e della pittura storica, e il resto della sua carriera fino ad oggi risponde all’intento di reinterpretarli in una prospettiva contemporanea; è in queste approfondite ricerche che tale proposta si amplia.

Disposte in ordine cronologico, ciascuna sezione della mostra abbraccia circa un decennio di attività dell’artista, segnato dalla rottura con tratti precedenti e dalla continuità di altri, dai suoi primi lavori basati sulla fotografia alle sue recenti astrazioni.

Già all’inizio della sua carriera, la scelta dei temi di Richter risultò estremamente complessa: da un lato realizzò immagini apparentemente banali tratte da giornali e riviste, come l’opera che lui stesso considera il suo “successo” del 1962, una stampa di una tavola tratta da una rivista di design italiana e parzialmente cancellata; dall’altro dipinse ritratti di famiglia che alludono al proprio passato (Onkel Rudi, Tante Marianne), nonché le ombre della storia del suo Paese (Bombardiere). Già a metà degli anni Sessanta sfidò, con la sua scultura, le convenzioni illusionistiche del mezzo espressivo (Quattro lastre di vetro) e il suo primo cartelle colori. Nella serie Paesaggi urbani esplorò uno stile di impasto pseudo-espressionista, mentre nei suoi Paesaggi e Marines ancora una volta mise alla prova i generi classici in modo dirompente.

Gerhard Richter. Kerze, 1982. Istituto d'arte contemporanea, Villeurbanne/Rodano-Alpi

Nella seconda sala della mostra sono esposti i quarantotto ritratti che Richter preparò per la Biennale di Venezia del 1972: essi segnarono l’inizio di una nuova fase di revisione della natura della pittura attraverso molteplici mezzi, tra cui sfocatura, copiatura e dissoluzione progressiva di un’Annunciazione di Tiziano, la distribuzione casuale dei toni nella sua grande cartelle colori e il rifiuto della rappresentazione e dell’espressione negli appelli vernici grigie.

Tra gli anni Settanta e Ottanta, Richter getterà le basi per il suo approccio unico all’astrattismo: ampliando gli studi sull’acquerello, esaminando la superficie pittorica e trasformando la pennellata di per sé nel tema centrale del dipinto (strich). Contemporaneamente realizzò i primi ritratti della figlia Betty e continuò a indagare temi “tradizionali” come paesaggio e natura morta, ma con approcci non convenzionali.

Gerhard Richter, Tisch, 1962. Collezione privata.

Spinto da una visione profondamente scettica verso i cambiamenti artistici e sociali di quel periodo, il Dresda sviluppò la sua serie 18 ottobre 1977 — eccezionalmente prestata dal MoMA per questa occasione —; questa è l’unica sua serie di opere che allude esplicitamente alla storia recente della Germania (la detenzione e la morte di membri del gruppo Baader-Meinhof). Negli anni Ottanta realizzò anche alcune tra le sue opere astratte più sorprendenti e cupe e, tornando al tema dei suoi primi dipinti di famiglia, creò insieme al figlio la serie Sabine.

Negli ultimi anni, prima del 2017, il disegno ha acquisito un ruolo centrale nella sua produzione. Per Richter è uno dei pochi metodi di lavoro che, pur essendo intimo e spontaneo, non può essere integrato in un processo controllato; è, infatti, l’antitesi del controllo.

Quelli realizzati negli anni Ottanta furono mostrati al pubblico solo nella mostra al Kunstmuseum Winterthur nel 1999: propongono forme lineari sviluppate a partire da schizzi spontanei, lavorate fino a diventare superfici strutturate e sfumate, in paesaggi immaginari. Nonostante il loro potere di suggestione, li preparò in formato ridotto, privilegiando l’annotazione diretta.

Gerhard Richter. Gudrun, 1987. Fondazione Louis Vuitton

Nel 1996 nasce la figlia più giovane di Richter, Ella Maria, e la sua vita (e il suo lavoro) acquisiscono una spinta forse inaspettata. Si trasferisce in una nuova casa (e in un altro studio) a Hahnwald, ai margini di Colonia, ma non chiude il suo laboratorio al centro della città: continua a lavorare su diversi gruppi di opere contemporaneamente. Non dipingeva più quadri astratti singoli, ma cicli caratterizzati da una struttura molto articolata e da uno studio tonale. Allo stesso tempo lavorò su dipinti intimi realizzati a partire da fotografie, incluso il suo primo autoritratto. Basandosi su temi di tutti i giorni, creò metafore che riflettevano la sua visione malinconica della realtà.

L’incarico, ricevuto nel 2002, di progettare la vetrata del transetto sud del Duomo di Colonia, in cui Richter adottò un processo casuale per determinare la distribuzione dei colori, lo spinse ad intraprendere ulteriori progetti. Dopo aver dipinto i cicli Silikat e Gabbia, si dedicò al lavoro sul vetro, talvolta affidando ad altri la realizzazione.

E dopo diversi anni di interruzione, nel 2014 tornò a dipingere in senso tradizionale — come sappiamo, non a lungo. Il primo tema che affrontò fu, ancora una volta, il passato tedesco: per molti anni aveva cercato di realizzare un’opera che trattasse dell’Olocausto, ma non aveva mai trovato la maniera adeguata per esprimere le emozioni travolgenti che questo tema comporta.

Punto di partenza per i suoi dipinti su Birkenau sono le uniche fotografie sopravvissute del campo di concentramento scattate dai prigionieri. Alla fine, il ciclo si è evoluto in quattro dipinti astratti che furono esposti per la prima volta in Germania, poi in Inghilterra, e nella retrospettiva dell’artista presentata dal Metropolitan nel 2020. Inoltre, versioni fotografiche di questo progetto sono installate permanentemente nel Reichstag di Berlino e nel Memoriale di Auschwitz-Birkenau.

Il 2016 è stato un anno cruciale per la riflessione futura: fu fondata la Gerhard Richter Art Foundation, con l’obiettivo di creare una esposizione permanente di un nucleo essenziale delle sue opere a Berlino e a Dresda. E tra il 2015 e il 2017, ideò una serie di dipinti astratti apertamente espressivi che segnarono una fine; dopo una pausa dichiarò terminata la sua opera pittorica.

Negli ultimi anni Richter ha concentrato la sua attività sulla realizzazione di disegni e opere destinate a spazi pubblici. Invece di dipingere sul muro, ora lavora alla scrivania e annota ogni disegno, permettendo così un esame progressivo del suo processo creativo. Non sono realizzati in serie continue, ma in gruppi che durano diversi giorni o settimane.

In queste nuove tavole, Richter esplora i meccanismi e le potenzialità del disegno come mezzo artistico. Usa linee, frottage e toni altoparlanti e prova tecniche insolite su di esso; il movimento involontario della mano acquista un’importanza senza precedenti. A volte aggiunge inchiostri colorati, che lascia cadere giocando sulla carta per ricrearne configurazioni casuali, ridisegnandole con una riga, un compasso o altri strumenti.

Richter continua a lavorare a Colonia, cercando nuove domande piuttosto che risposte.

Gerhard Richter. Möhre (Carotte), 1984. Fondazione Louis Vuitton

Gerhard Richter

FONDAZIONE LOUIS VUITTON

8 Avenue du Mahatma Gandhi

Parigi

Dal 17 ottobre 2025 al 2 marzo 2026

Terzo Matni

Terzo Matni

Mi chiamo Terzo, fondatore di Hai sentito che musica e appassionato di cultura in tutte le sue forme. Da sempre esploro con curiosità suoni, immagini e storie che fanno vibrare l’Italia contemporanea. Nei miei articoli racconto ciò che mi emoziona, mi sorprende e alimenta la mia voglia di condividere la scena culturale italiana.

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