Quest’anno ricorrono i trent’anni dalla scomparsa di Maruja Mallo, pittrice madrilena che, fin dagli anni della residenza studentesca, partecipò al primo surrealismo spagnolo e alla Generación del 27; nel suo lavoro fuse celebrazioni popolari con tocchi esoterici, imprimendo un’impronta dinamica e una modernità evidente. Amparata dall’America, dove risiedette dal 1937 agli anni ’60, tornò a Madrid in trionfo, trasformata in artista e personaggio leggendario.
Dopo aver attraversato il Botín de Santander Center, il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía inaugura oggi «Maruja Mallo: Maschera e Bussola», la sua più ampia retrospettiva mai realizzata, commissionata da Patricia Molins, responsabile del Dipartimento delle mostre temporanee del MNCARS.
L’ampia selezione comprende circa novanta dipinti e una scelta di opere datate tra la metà degli anni Venti, periodo in cui iniziò a muoversi verso un realismo magico, fino agli anni Ottanta, quando le sue creazioni oscillano tra geometria e fantastico. Le opere sono presentate in serie, come accadeva per lei, realizzate con meticolosità nei processi e nell’organizzazione; e tra esse ci riserva una sorpresa: nel percorso preparatorio di questo progetto è stato rinvenuto un disegno inedito e un’opera non presente nel catalogo ragionato.
In primo luogo, l’opera di questa artista galiziana si distingue per la sua eterogeneità, perché interessata sia ai percorsi dell’avanguardia sia alle dimensioni etiche dell’arte e della politica. Interpretazioni recenti della sua eredità hanno cercato in lei una riflessione sulle inquietudini del proprio tempo e sull’anticipazione di sviluppi futuri, legate all’universalità di tematiche quali disuguaglianze razziali ed economiche, emancipazione delle donne, la funzione dell’arte nel rivelare strati invisibili della realtà o la conservazione della natura. Questa lettura assegna alla sua proposta un’impronta quasi visionaria.

Il percorso espositivo prende avvio con la sua formazione alla Real Academia de San Fernando, dove oltre a stringere legami con il fumettista di tebeos Francis Bartolozzi rafforzò i contatti con Dalí. Tra i maestri figure come Chicharro o Romero de Torres lasciarono impronte sulle sue prime opere; un altro referente, per lei e per diversi artisti della sua generazione, fu il libro Realismo magico di Franz Roh, pubblicato nel 1925, che diffuse un linguaggio alternativo al realismo, proseguendo la stagione di cubismo e astrazione: non esiva essere una narrazione e può germogliare dal popolare. Due tra i suoi primi dipinti degli anni Venti arrivarono a Madrid dal Lugo Provincial Museum (Indigeno e Ritratto Lady con fan), a indicare già dall’inizio l’interesse per la rappresentazione di donne contemporanee e culture restie ma lontane.
Il 1927 fu un anno decisivo: si trasferì alle Isole Canarie, dove il paesaggio la colpì profondamente; cominciò a porre la donna come asse centrale delle proprie opere, non come musa ma come protagonista; e aprì la sua prima mostra a Madrid, negli studi della Rivista Occidentale, ricevendo elogi da Ortega y Gasset (che sostenne quella pubblicazione per molti anni). In quell’anno e nel successivo realizzò una delle sue serie più celebri, Le Verbenas, in cui iniziò a porre la propria posizione nel dibattito tra cultura popolare e arte contemporanea, tra tradizioni e modernità. La struttura dell’immagine, geometrica e carica di simbolismo, trae linfa dai legami tra le figure e le decorazioni dei Guiñoles e dal trattamento cinematografico della simultaneità e della sovrapposizione; riunisce vari tipi di ritratti tratti dall’immaginario popolare: donne vestite da angeli neri, re e magistrati di cartone di pietra, tori e burattini che creano piccoli teatri e intellettuali caricati in maiali che trascinano un ragazzo verso mondi oltre, come la Cina o le piramidi.
Questa mostra è la prima occasione per raccogliere cinque di quelle scene datate a quel periodo dalla rivista citata; due di esse (Il mago/pim pum, dove potrebbe essere raffigurato Valle‑Inclán, e Kermesse) provengono dall’Art Institute di Chicago e dal Centre Pompidou.

Saranno però evidentemente contrastate le sue composizioni degli anni Trenta, realizzate dopo un grave incidente stradale e una tempesta di ribalta insieme a Rafael Alberti, periodo in cui fu influenzata dall’estetica austera della scuola di Vallecas e da Benjamín Palencia. È possibile contemplare Fognature e campane (1930-1932), dove la figura umana è ridotta a rifiuti o impronte digitali, e diventano importanti soprattutto le trame e la materia; Terra ed escrementi (1932), con basi simili; o Lo spaventapasseri (1930), che offre un’osservazione necrocratica della natura da un’angolazione surrealista. In questi lavori più cupi, si intravede anche una lettura del contesto politico e sociale della Spagna.

Tra il 1931 e il 1933 visse a Parigi, grazie a una borsa di studio destinata a formarsi in scenografia. Lì incontrò Picasso ormai guardato da vicino e iniziò a riflettere sulle possibilità dello spazio come supporto tridimensionale del lavoro, anziché sul piano pittorico (quelle ricerche sfociarono nella scenografia di Clavileño, balletto di Rodolfo Halffter destinato alla residenza studentesca ma cancellato a causa della guerra civile).
Al ritorno in Spagna realizzò opere quali Architetture minerali e vegetali (1933), in cui ridusse le figure a linee o sezioni anatomiche e applicò il soggetto a trame molto marcate, per rompere la dicotomia tra figura e sfondo; Architetture rurali (1933-1935), in cui disegnava scheletri o alloggi di silos, Almiares e altre strutture usate per il raccolto di cereali, giocando con la dicotomia tra movimento e immobilità, costante nel suo percorso. Anche la questione politica era molto rilevante in quel periodo, ma fu affrontata attraverso geometrie, un procedimento che avrebbe avuto il suo culmine nelle ceramiche, dove la Terra assume un valore costruttivo piuttosto che distruttivo, come nelle serie di Fognature e campane.

Negli anni Quaranta tornò a utilizzare Nature viventi (1941-1943), opere in cui figure femminili sensuali e colorate si inseriscono in composizioni che alludono al regno animale e vegetale come metafora del corpo umano. L’uso del corpo diventa una ricerca di espressione della Natura stessa; le figure femminili incarnano l’umanità in senso universale.
Da quel momento, cercò di introdurre nelle sue creazioni la quarta dimensione, attingendo ai risultati della fisica dell’epoca: abbandonò una visione statica dello spazio a favore di una dinamica spazio-temporale. In dipinti come Natura vivente II (1941-1942) o Natura vivente XII (1943), gli elementi marini attraversati da elementi vegetali assumono un aspetto sessualizzato e organico.

Nell’America Latina, e soprattutto in Brasile, Mallo incontrò paesaggi e popolazioni la cui varietà fisica e il sincretismo culturale e razziale ispirarono nuove direzioni nel suo lavoro, che cominciò a popolare di corpi e teste nere (tra cui Black Young del 1948, recentemente acquisito dal Ministero per Reina Sofía). Da quel periodo si tentò di elaborare un metodo sistematico per rappresentare una nuova umanità, in parte come risposta al razzismo e al nazionalismo degli anni Trenta: voleva fissare spazi e tempi circolari, al contempo presenti ed eterni, in cui teste, maschere e acrobati assumessero forme simboliche e idealizzate, manifestazioni della sua fede nell’arte come visione perfetta e pronta ad aprirsi al futuro.
Testa dopo testa, si osservò una fusione tra razze, tra razze e animali, e tra i sessi, come in Il cervo umano (1948) o in Oro (1952). Le sue Maschere di quegli anni condensano emozioni sia positive sia negative, mutuando influenze anche dagli studi freudiani che Mallo intraprese in quel periodo.
Nel 1962 tornò in Spagna, dove si stabilì definitivamente tre anni dopo, inaugurando l’ultima serie: Abitanti del vuoto e Viaggiatori di etere, legati a viaggi reali o immaginari che attraversano le Ande o il Pacifico, interpretati come esperienze levitazionali in cui avrebbe contattato dimensioni sovrannaturali. In parte, i loro spazi siderali sarebbero derivati da tali esplorazioni, dove le forme circolari cedono il passo a geometrie di serpenti complesse e figure diventano esseri soggetti a processi simbiotici o metamorfici, riflesso dell’intero percorso evolutivo, dalle cellule alle macchine spaziali, passando per gli animali.
La mostra si chiude con le opere realizzate negli ultimi anni, che recuperano le ragioni delle diverse epoche e le armonizzano con tonalità simboliche (gama di blu, rosso e giallo); vi compaiono anche schizzi destinati alle copertine della suddetta Rivista Occidentale e una serie di incisioni degli anni Settanta, fotografie che intrecciano arte e vita (Mallo fece largo uso di quel mezzo senza esserne una fotografa) ed un’intervista in cui si riflette sulla sua audacia.
Il legame tra scienza, astrologia, questioni razziali, micro e macrocosmo ha continuato a guidare l’interesse di molti creatori contemporanei; e la loro rivendicazione di donne sempre attive, la loro cura per la cultura popolare e la loro cura nell’uso dell’immagine — sia in composizioni sia in apparizioni televisive — ne hanno fatto una figura all’avanguardia nel proprio tempo.
Patricia Molins ha ricordato che, al di là della fiducia in sé e della ironia, Mallo l’ha intrigata per i tempi che ha attraversato insieme a lei per le strade e continua a suscitare domande: ha raccontato molto di sé, ma era anche capace di nascondersi quando necessario.
È plausibile che lo studio dell’intero archivio, consultabile al Reina Sofía tra i fondi Lafuente, permetta una rilettura radicale della sua eredità. Il museo ospiterà inoltre, nel 2026, giornate dedicate alle sue tecniche creative.

«Maruja Mallo: maschera e bussola»
Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía. MNCARS
C/ Santa Isabel, 52
Madrid
Dall’8 ottobre 2025 al 16 marzo 2026
