I commensali riuniti al Hampstead Theatre – Recensione

Tracy-Ann Oberman e Jennifer Westfeldt in The Assembled Parties, © Helen Murray

Per ricordi, l’ultima pièce che ho recensito al Hampstead Theatre è stata The Invention of Love di Tom Stoppard. Credo di aver detto qualcosa tipo: se non parli latino, non capisci la metà, ma l’altra metà vale comunque la visione. Potrei dire la stessa cosa per The Assembled Parties, tranne che qui, al posto del latino, c’è lo yiddish di cui è bene avere una buona padronanza, e l’altra metà è… un vero cavolaccio misto.

È il 1980, e la famiglia si riunisce per il Natale — poco importa che sia ebrea — con una new entry, l’amico di Scott dell’università, Jeff. Attraverso gli occhi di Jeff, assistiamo al fascino di questa rapidissima, politicamente esplicita e un po’ glamour famiglia newyorchese, guidata dalla ex star del cinema, Julie (Jennifer Westfeldt) come matriarca. Ma i segreti abbondano, come spesso accade, e nasce così un dramma. Quando ci incontriamo di nuovo nel secondo atto, vent’anni sono trascorsi e metà del cast è scomparsa, compreso il giovane Scott. Ma i misteri del passato cominciano a riemergere. O quasi.

Lo sceneggiatore Richard Greenberg è riuscito a creare un dramma familiare molto divertente e acuto, dominato dai dialoghi, traboccante di sottotrame intricati che si intrecciano tra loro. Tuttavia sembra restare intrappolato nell’idea di una grande storia fallace, e molte delle svolte della trama vengono sfiorate in modo confuso o, si scopre, del tutto irrilevanti.

Daniel Abelson and David Kennedy in The Assembled Parties
Daniel Abelson e David Kennedy in The Assembled Parties, © Helen Murray

Al centro della sceneggiatura, però, c’è una storia ricca e rassicurante di due donne, entrambe carismatiche e affettuose, ma spiritualmente opposte: Julie di Westfeldt, una sognatrice simile a una figura elfica, poetica, senza una comprensione pragmatica del mondo, eppure una presenza indispensabile, e Faye, interpretata da Tracy-Ann Oberman, la cognata di Julie, una newyorchese dura, pratica e old-school, capace di accettare i compromessi della vita perché ne ha fatti anche lei. Come dice Faye, lei dovrebbe odiare Julie. Ma invece trascorrono la vita desiderando il meglio l’una per l’altra. E quando se ne presenta l’occasione, danno anche loro il massimo.

Queste due donne si sentono complete in un modo piuttosto raro nel teatro, e la loro storia offre molto da raccontare, senza le distraction di sub-trame come la malattia di AIDS che funge da ombra sulla morte di Scott, o l’amore non corrisposto di Jeff in Illinois; la fidanzata incinta di Tim, o il ragazzo gracile di Shelley. Chi sono questi ultimi due personaggi, vi chiedete? Fondamentalmente non è importante, è quello che sto tentando di dirvi.

Ma mentre c’è molto da prendere in considerazione, e la sensazione di poter aver perso il punto, c’è anche molto da intrattenersi. Il dialogo è tagliente, la trama, sebbene a volte bizzarra, è ben ritmata, e l’effetto complessivo risulta assolutamente affascinante.

Terzo Matni

Terzo Matni

Mi chiamo Terzo, fondatore di Hai sentito che musica e appassionato di cultura in tutte le sue forme. Da sempre esploro con curiosità suoni, immagini e storie che fanno vibrare l’Italia contemporanea. Nei miei articoli racconto ciò che mi emoziona, mi sorprende e alimenta la mia voglia di condividere la scena culturale italiana.

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