Recensione: Piccolo Hotel con Ralph Fiennes al Theatre Royal Bath

Ralph Fiennes in Small Hotel, © Marc Brenner

Ralph Fiennes’ stagione al Theatre Royal Bath ci ha già regalato una nuova, audace opera di David Hare e un As You Like It incentrato sull’attore. Cosa c’è di meglio per chiuderla se non con un elegante passo di danza soffice? In Small Hotel, Fiennes – sempre capace di trasformarsi, aggiunge la figura del “tap dancer” al suo formidabile repertorio.

Ma la pièce in un solo atto di Rebecca Lenkiewicz offre qualcosa di più della semplice novità scenica. Sono 90 minuti curiosi ed ellittici che ondeggiano tra realismo domestico e paesaggio onirico metafisico. Come un sogno ad occhi aperti, è sia vivida sia sfocata, i dettagli che si dissolvono in metafora proprio mentre cerchiamo di afferrarne il significato.

La trama ruota attorno a Larry, un conduttore di talk show che sta facendo i conti con una resa dei conti personale. Entra in scena con una camicia insanguinata, alle sue spalle un barman dall’unico occhio che canta standard degli anni Cinquanta. Da quel momento, lo spettacolo diventa sempre più intimo. Lo vediamo prepararsi a intervistare l’ex partner che non vede da vent’anni, la cui stella ora è oscurata dalla sua. Incontriamo sua madre, alcolizzata e acida, rannicchiata su un divano, che spara fascino e veleno in eguale misura. Attraverso videochiamate con intermittenti interferenze, si collega con suo fratello gemello Richard, restato in casa, smarrito e assetato di intimità.

Fiennes è coinvolgente nel ruolo di Larry: un uomo svuotato dalla vergogna, gli occhi spesso abbassati come se volessero sfuggire alla verità. È meno convincente come conduttore carismatico; la sua aura di star resiste a quell’ease populista, ma impone la sua presenza sul palco in modo innegabile. Le sue scene da Richard, interpretato da lui stesso sullo schermo, mostrano silenziosamente la sua versatilità. Il momento finale è una sottile prodezza di teatro, prova che non tutte le sorprese sceniche devono urlare.

Rachel Tucker in Small Hotel
Rachel Tucker in Small Hotel, © Marc Brenner

Se , all’inizio della stagione, non ha pienamente valorizzato la sua stella, Small Hotel la tiene al centro, anche se si potrebbe desiderare che Lenkiewicz lasciasse respirare di più le sue idee. Temi di famiglia, identità, rimpianto e potere nelle relazioni emergono e brillano ma raramente hanno modo di approfondirsi. In quanto atto unico, sembra più uno schizzo per qualcosa di più ricco.

Eppure affascina, e non da ultimo per la solidità del cast. Rosalind Eleazar è magnetica nel ruolo dell’ex-compagna riportata nell’orbita di Larry. La sua compostezza sul divano parla di anni trascorsi sotto i riflettori; i suoi momenti di crollo portano il peso di un dolore privato. Francesca Annis, nel ruolo della madre di Larry, gracchia ogni verso come una poesia trascinata tra cenere. I suoi movimenti sono intrisi di anni di alcol e danni. Il momento in cui chiede a Larry di confermare che una volta fosse stata bella è carico di significato (forse un sottile richiamo alla sua storia reale con Fiennes). Rachel Tucker, anche, lascia il segno come figura del coro spirituale, la sua voce che si espande per riempire il teatro, i suoi passi che battono sempre il tempo.

La regia di Holly Race Roughan mantiene il ritmo serrato e il tono sfuggente. Il design video di Luke Halls oscilla tra vecchi orari di treni e statico pulsante, ancorandoci in un mondo purgatoriale in cui memoria e realtà si confondono.

Come nota finale per la stagione di Fiennes, Small Hotel è una scelta tranquilla e riflessiva, orientata verso l’esperimento piuttosto che verso l’appagamento di una folla. Si mormora che Brian Cox stia pianificando una stagione tutta sua. Se è così, forse stiamo assistendo al ritorno dell’attore-regista, un’antica tradizione rinata con gusto moderno. Stelle. Il teatro ha ancora bisogno di loro.

Terzo Matni

Terzo Matni

Mi chiamo Terzo, fondatore di Hai sentito che musica e appassionato di cultura in tutte le sue forme. Da sempre esploro con curiosità suoni, immagini e storie che fanno vibrare l’Italia contemporanea. Nei miei articoli racconto ciò che mi emoziona, mi sorprende e alimenta la mia voglia di condividere la scena culturale italiana.

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